Assume comportamento gravissimo, in patente contrasto con i precetti fondanti la professione forense, ovvero del dovere di probità, decoro dignità e del dovere di fedeltà e diligenza (articoli 9, 10 e 12 del Codice Deontologico Forense), oltreché in violazione dell’obbligo di adempimento del mandato (art. 26 del Codice Deontologico Forense) e di diligenza nella gestione di denaro altrui (art. 30 del Codice Deontologico Forense), l’avvocato che, nominato Amministratore di sostegno di due persone, si impossessava del denaro degli amministrati, approfittando della loro totale incapacità a provvedere ai propri interessi e utilizzando successivamente le predette somme per fronte ad esigenze personali e non per le necessità di cura ed assistenza del beneficiario, ed ometteva altresì per anni gli adempimenti dell’ufficio (deposito relazioni e rendiconti) con il chiaro intento di sottrarsi al tempestivo controllo da parte del Giudice tutelare, o quanto meno ritardare lo stesso.
Nel caso in esame è stato applicato dell’art. 22, secondo comma, lettera c), del Codice Deontologico Forense, attesa la straordinaria gravità dei fatti contestati e riconosciuti nella loro materialità, particolarmente riprovevoli in quanto perpetrati ai danni di due soggetti estremamente fragili e indifesi, che erano stati affidati per tale motivo alle cure ed alla assistenza dell’avvocato, proprio in ragione della professione da questi svolta, dovendosi per altro considerare il fatto che le condotte contestate, visto l’ufficio ricoperto dall’incolpato e la personalità delle vittime, hanno gettato grave discredito sull’immagine della professione forense nel suo complesso, e sono lesive dell’onorabilità dei avvocati che assumono – con spirito di servizio – la difficile e gravosa carica di amministratore di sostegno di soggetti fragili e soli.
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