È principio fondamentale che nell’esercizio della professione l’avvocato deve porre ogni rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, senza però mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte e del suo difensore in ossequio ai doveri di lealtà, correttezza e ai principi di colleganza.
L’avvocato, sulla base di quanto previsto e disposto dall’art. 52 del Codice deontologico forense, ha dunque il dovere di comportarsi in ogni situazione, con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive nei confronti del collega avversario, così come nei confronti dei magistrati, delle parti e più in generale dei terzi, la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, nè dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare.
Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si configura la violazione dell’art. 52 del Codice Deontologico Forense, va individuato nella intangibilità della reputazione e del decoro della persona del contraddittore.
Stampa